Sentire o misurare ovvero relazioni fra analogie e realtà

misurare

Come ingegnere, e tecnologo sono spesso portato a misurare quello mi succede. Se fuori è freddo o è caldo, mi interessa sapere quanti gradi ci sono. Se faccio un dolce peso la farina. Se dimagrisco o ingrasso, voglio sapere quale è la mia massa ed eventualmente come è suddivisa. Già da adolescente aumentavo la mia autostima leggendo un numero su un righello.

Ma è possibile misurare tutto? La vita, l’amore si possono misurare?

Mentre portavo a spasso i cani, l’altra mattina, mi è ritornata in mente, come un flash, una canzone che mi piace veramente tanto. Di fatto è tratta dal musical e poi film americano Rent, che però si ispira ad un opera lirica di Giacomo Puccini, che a sua volta si basa su di un romanzo di Henri Murger. Dove la sarta Mimì ammalata di tubercolosi diventa la ballerina erotica Mimì sieropositiva e malata di HIV. Dove la soffitta dell’opera lirica diventa un loft a NewYork. Adoro quando idee originali si intrecciano, si rinnovano, e si contaminano attraverso i secoli.

La Boheme poster by Hohenstein
Rent

Tornando al tema, all’inizio del secondo atto, nel musical Rent, c’è un brano realmente potente: Seasons Of Love.

E’ capodanno, e i protagonisti del musical si interrogano su come si possa misurare quanto si ha vissuto. Considerata l’ambientazione nel lower East Side di New York, il periodo storico ed il fatto che tutta la vicenda è vissuta all’ombra dell’AIDS, non diventa secondario o scontato pensare a come si ha vissuto fino a quel momento. E, indubbiamente, il capodanno è per molti, anche per me, motivo di bilanci, di propositi e di intenzioni.

525600 – misurare

525600 sono i minuti contenuti in un anno. Nel brano questo numero, che in inglese è molto allitterativo “Five hundred twenty-five thousand, six hundred minutes”, viene ripetuto come in un canone. Un anno di vita, parafrasando la canzone, è effettivamente formato da piccolissime particelle, come i minuti, come le albe ed i tramonti, come le tazze di caffè e le risate.

Il cast, in coro, nel ritornello ci richiama a misurare l’anno appena trascorso “How do you measure a year in a life?” con l’amore, “How about love?”.

Amore che potrebbe essere comunque misurabile. Per esempio nel ricordo delle tazze di caffè prese o nel suono delle risate di una persona che non c’è più.

Tutto questo ha il sapore di un testamento sapendo che l’autore di questo brano Jonathan Larson, è morto di colpo, per la disezione dell’aorta, giusto il giorno prima del debutto del suo musical a Broadway. La famiglia del regista ha comunque acconsentito che l’opera andasse comunque in scena, quasi come fosse un commemmorazione, un commiato.

Ascoltare questo brano, l’ostinato di pianoforte che incalza, l’incontro nell’armonia delle voci e la potenza espressiva dei soli, da i brividi. Effettivamente quanti, tanti o pochi brividi, non è facile da misurare.

I bambini ci provano, a volte a dire quanto vogliono bene, e allargano le braccia il più possibile dicendo “tanto così”. I bambini, e ho scoperto anche i giapponesi, sono decisamente più bravi a “misurare le cose in-misurabili”.

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Il concetto di misura

Eppure misurare è tutt’altro che una cosa precisa. Prendiamo il righello di cui prima. Se chiedessimo a dieci ragazze di fare quella stessa misura otterremmo probabilmente dieci valori diversi. E i motivi posso essere veramente tanti. Proviamo a vedere.

Intanto l’oggetto della misura potrebbe essere diverso lui stesso. Si sa, il caldo o il freddo possono influire sulla lunghezza di “certi” oggetti. Poi chi esegue la misura potrebbe inavvertitamente modificare la stessa, in questo caso anche l’avvenenza della misuratrice potrebbe essere decisiva.

Altri motivi possono essere poi legati all’addestramento che ha ricevuto chi esegue la misura, allo strumento di misura utilizzato, in generale da quelle che vengono chiamate “condizioni al contorno”.

Anche se usassimo degli strumenti digitali, il processo che ci porta a dare un valore numerico ad una lunghezza, o a qualsiasi altro fenomeno fisico, è di fatto analogico.

Analogico perché ricerchiamo di collegare ad qualcosa di reale, o presunto tale, come la lunghezza, la massa o la temperatura di un oggetto, ad un valore che ne rappresenti l’entità.

Per la misura di lunghezza di cui sopra sarà ci si potrà accordare su un numero, magari la media delle misure effettuate, oppure un numero secco correlato da altri numeri che ne richiamino la nostra ignoranza, la nostra incertezza. La misura finale potrà essere chessò 20 centimetri, più o meno. Ma mai potremmo dire esattamente 20 centimetri.

Misurare è uguale a sbagliare

Esiste quindi una misura reale univoca di qualcosa? La risposta breve è no. Nel misurare è insito un errore, non è possibile fare una misura perfetta, completamente senza errori. Di fatto nella vita, non è possibile fare niente di perfetto.

Senza andare a scomodare la meccanica quantistica, nella quale oltre all’indeterminazione della misura si aggiunge anche una indeterminazione fisica insita nella natura, ogni misura fatta contiene in se un errore.

Sbagliamo per molti motivi.

  • Sbagliamo perché cambia l’oggetto della misura;
  • Sbagliamo perché ci sono dei limiti fisici nel fare la misura (se per esempio guardiamo qualcosa non potremo mai vedere cose più piccole della lunghezza d’onda della luce visibile);
  • Sbagliamo a leggere lo strumento (per esempio errore di parallasse);
  • Sbagliamo perché la nostra misura è composta da misure più semplici, ognuna con le sue incertezze (la misura di una velocità è per esempio formata dalla misura di uno spazio, misurato con un metro, e di un tempo, misurato con un cronometro);
  • Sbagliamo perché gli strumenti di misura sono più o meno fatti bene, ed anche lo strumento di misura più preciso del mondo comunque è stato costruito da un uomo e dalla sua limitata tecnologia.

Misurare, capire o sentire

Il problema che hanno i numeri, ed in un certo modo le misure, è che possono diventare sterili, privi di senso. E’ vero, per esempio possiamo conoscere una per una tutte le cifre che compongono il pi greco (π). Ma per me, quel numero, rimane sempre 3 e qualcosa.

Posso avere strumenti precisi e costosi che mi forniscono una infinità di cifre, millesimi di grado, nanosecondi ecc. Ma cosa aggiungo alla mia esperienza se conosco queste misure cosi nel dettaglio. Saprò se la temperatura è troppo alta o troppo bassa per un evento fisico? Saprò se un componente si romperà soggetto ad una forza?

Quando io misuro una forza, spesso, mi accontento di sapere quale è l’ordine di grandezza con cui mi sto misurando. Un migliaio di Newton. E’ una forza che il mio corpo arriva quasi a generare. Qualche decina di migliaia di kJ. E’ l’energia che il mio corpo assume e consuma nel volgere di qualche decina di ore. Un secondo. Il tempo che trascorre fra due battiti del mio cuore.

Eppure tutto è soggettivo, se sono stanco il mio corpo sviluppa meno forza. Se sono malato il mio corpo consuma più o meno energia a seconda della malattia. Se ho paura o se sono eccitato e provo a contare i secondi, li conto più velocemente.

Il mondo reale vive nella nostra esperienza soggettiva. Anche se alcune esperienze sono riproducibili, non potremmo mai avere l’idea di cosa esattamente stia provando un’altra persona.

Ma è entusiasmante provarci, provare senza sosta a metterci nei panni degli altri. Provare a spiegare cosa abbiamo capito. Provare a sentire e vedere con altre prospettive.

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