In questo periodo sto preparando la mezza maratona di Rimini, “la ventina” non competitiva, in particolare. Per preparare una corsa, già da questo chilometraggio, bisogna essere pronti a superare i propri limiti.
Ma che cosa sono i limiti.
Cene sono di tanti tipi, molto spesso sono mentali. Altre volte fisici. Per l’ingegnere nostalgico sono anche matematici.

Il pensiero di limite si è manifestato nella mente, aumentando via via il range dei miei allenamenti. Mi sono trovato ad arrivare sempre più lontano da casa, percorrendo i bellissimi sentieri della Valmarecchia.
Il limite è per me diventato superare una siepe o un laghetto; raggiungere una curva o una cunetta e vedere un nuovo paesaggio dall’altra parte.
Limiti positivi
Spesso mi capita di pensare ai limiti proprio in maniera positiva. Riuscire a fare una cosa che prima non avevo mai fatto. Riuscire a capire un concetto al quale prima non ero mai arrivato.
Il premio, per aver superato un limite, è arrivare ad un nuovo punto di vista. Superare un limite fa guadagnare una nuova prospettiva.
Ed è proprio così. Aumentare il range degli allenamenti, mi porta ad arrivare fino a quella curva, che sembrava così irraggiungibile. Mi fa oltrepassare quella collinetta che sembrava così lontana.
Dietro quella particolare curva, per esempio, ho trovato un piccolo stagno riempito dalle ultime piogge. Qui l’acqua, sedimentando il fango, era diventata cristallina.
Sulla superficie gli arbusti e gli alberi caduti si specchiano insieme al cielo, creando una fotografia perfetta.

Limiti negativi
Altre volte, può capitare, che il limite sia una parte del vissuto più negativa. Un fallimento ricorrente, il non riuscire a fare una cosa, essere negati per una attività. Il limite diventa un cerchio all’interno del quale ci rinchiudiamo, un sacco buio da cui non si riesce ad uscire.
Le sensazioni di questo tipo ci fanno sentire incastrati, stretti, senza via di uscita. Non mi piace quando percepisco questi tipi li limite.
Limiti relativi
E poi ci sono i limiti che dipendono, in qualche modo, dalle relazioni. E’ evidente, non possiamo andare “oltre”, sempre, ad ogni costo, in tutto quello che vogliamo. Se un semaforo rosso ci vuole impedire di attraversare un incrocio, è igienico cercare di rispettare questo limite. Se ci piace molto un oggetto che possiede un nostro amico o qualcuno che non conosciamo, anche in questo caso, non è pensabile prenderla e tenerla per se. Queste sono esempi di regole, che sono create artificialmente dal genere umano per “gestire” la convivenza in maniera più civile possibile.
Nel resto del mondo animale esistono ugualmente regole, ma spesso non hanno niente di civile. Se la preda che è stata catturata dal vicino è bella e succulenta e io sono un predatore più grosso, mi prendo la preda con o senza il consenso del mio vicino.
Se io sono un leone giovane e aitante, e il mio istinto mi suggerisce di provare a diventare capobranco e avere a disposizione i favori sessuali della leonessa. Sfido il capobranco e in caso di vittoria ucciderò anche tutti i suoi cuccioli. Tutto questo per assicurarmi una discendenza esclusiva ed annullare, anche geneticamente, il mio predecessore.
Questi ultimi esempi hanno poco di civile. Eppure nel regno animale sono funzionali, e non certo causa di estinzione della specie.
Pensando al genere umano, è interessante capire da dove arriviamo e che tipo di scelte abbiamo dovuto operare nelle migliaia di anni passati, per arrivare a questo tipo di “civiltà” in cui ci siamo creati dei limiti sociali che, in qualche modo, ci hanno fatto prosperare.
Limite vuol dire anche sapere aspettare
Il tutto il regno animale l’uomo è fra i pochi che riesce a idealizzare un obiettivo. Questo deriva da quando, molto tempo fa, per mangiare carne (molto più nutriente e sostanziosa di bacche e frutta) abbiamo cominciato a inseguire le prede.
Non siamo mai stati veloci comi i ghepardi o i leoni e non abbiamo mai avuto le zanne o la capacità di fare branco dei lupi. Ma abbiamo saputo tenere duro. Le prede si sono adattate a livello evolutivo ai loro predatori, più diventava veloce il predatore, più diventava veloce la preda. E noi come abbiamo potuto sopravvivere senza velocità, senza zanne? Come ci siamo trasformati da preda a predatore?
Costanza ovvero la capacità di porsi degli obiettivi
E’ importate, e può dare un certo gusto, programmare ed attendere il superamento di un limite. Studiare quotidianamente per un esame, imparare a suonare un nuovo strumento, allenarsi in vista di una gara.
Se mi guardo allo specchio il primo giorno del mio nuovo percorso, non vedrò niente di cambiato. Sarò esattamente la stessa persona del giorno prima, anche se con un allenamento o una attività eseguita in più.
Se anche fossi in grado di studiare tutto un libro, o di fare tutto l’allenamento per la mezza maratona, tutto nello stesso giorno. Non sarei né in grado di passare l’esame, né di correre per la distanza prefissata. Anzi, se supero la capacità di resistenza del mio corpo e della mia mente, probabilmente riuscirò solo a farmi del male.
Se, come neo predatore, provassi a inseguire una velocissima antilope correndo a più non posso. Mi ritroverei stanco, con il fiatone e ancora più affamato. Inseguendo le antilopi abbiamo capito che è vero che sono molto veloci, ma non possono esserlo per lunghe distanze. L’antilope, e molte prede, appena sentono pericolo, scappano senza risparmiarsi il più lontano possibile.
L’uomo, lasciamo perdere per un momento l’uomo medio moderno, è, da sempre, in grado di correre per decine e decine di chilometri sempre alla stessa velocità.
L’uomo, e il suo cervello, sanno porsi, al contrario delle antilopi, obiettivi di sopravvivenza a lungo termine diversi da quelli dettati dall’istinto. Sa che, piano piano, l’antilope sarà esausta. Ha già in mente il profumo di carne di antilope, e la felicità della sua partner sessuale al rientro dalla prosperosa battuta di caccia.
Percui l’uomo primitivo insegue l’antilope, e l’antilope scappa veloce fino a che si sente al sicuro. L’uomo, continuando con il suo passo, continua ad inseguirla, appena si sente in pericolo di nuovo l’antilope scappa velocissima. L’uomo continua sempre con il suo passo e continua l’inseguimento, ogni volta avvicinandosi di più. Dopo ore o, in alcuni casi, giorni, l’antilope è esausta. L’uomo ha continuato a correre, ha percorso decine e decine di chilometri. Probabilmente non ha mangiato, se non quello che ha trovato, e ha bevuto da qualche pozza. Forse non ha neanche dormito. Ma adesso ha davanti ai suoi occhi una antilope esausta pronta per essere uccisa. Questa immagine lo ha accompagnato per tutto l’inseguimento. E’ la sua medaglia nella sua ultra-maratona per la sopravvivenza.
E’ probabilmente questa la chiave evolutiva. I cacciatori maschi più bravi, quindi più cercati sessualmente, erano quelli che sapevano correre più a lungo con ben chiaro l’obiettivo finale.

Cosa rimane dei cacciatori al giorno d’oggi
Dell’epoca preistorica in noi rimane ormai poco. Anche se dominiamo il mondo, e lo abbiamo plasmato a nostra immagine creando la nuova era geologica denominata “antropocene“, è ormai morta la leva evolutiva primitiva.
Proviamo a prendere il limite della corsa. Creiamo il grafico dei record del mondo nei 100 metri, nei 10 km, e nella maratona (il perché di queste tre distanze lo esporrò in un prossimo articolo). E’ possibile notare che cominciamo ad arrivare ad un asintoto, il superamento dei limiti è sempre più raro. Anche migliorando scarpe, allenamenti, alimentazione, psicologia ecc, è sempre più difficile superare chi ci ha preceduto. Siamo destinati a diventare una popolazione di “divanari” collegati senza soluzione di continuità a telefoni e social.

Considerato quanto anche io sia più lontano dall’uomo da cui discendo. Considerato che non devo più inseguire una preda per mangiare carne, o arrampicarmi per raccogliere la frutta, o stare chinato per ore per lavorare la terra.
Tutto questo considerato, sono veramente contento quando riesco a superare questo primo limite, staccare il culo dalla sedia e uscire a fare quello per cui siamo stati progettati: Correre.